Di seguito il testo con cui il Rettore Loris Borghi ha annunciato le sue dimissioni:

Alla Ministra del MIUR Valeria Fedeli
Ai componenti del Senato Accademico
Ai 
componenti del Consiglio di Amministrazione
Ai 
componenti del Collegio dei Revisori dei Conti
Ai componenti del Nucleo di Valutazione
Al Direttore Generale Silvana Ablondi
Al Prorettore Vicario Giovanni Franceschini

e, p.c. 
Ai docenti, al personale tecnico-amministrativo e agli studenti dell’Ateneo di Parma.

Parma, 15 maggio 2017


Con questa lettera rassegno le mie dimissioni da Rettore dell’Università di Parma a far tempo da oggi, 15 maggio 2017.

Avrei potuto addurre motivi di salute, visto che è di dominio pubblico il mio recente infarto del miocardio. Ma non lo farò.

Non lo farò perché ho sempre insegnato ai miei allievi la passione per l’Università,  per la medicina, per le professioni,  per l’uomo e per l’etica. Non lo farò perché sono sempre stato un uomo radicato ai princìpi del pubblico, della condivisione e della trasparenza. Non lo farò perché nel tourbillon di infamia e violenza delle ultime settimane c’è bisogno di chiarezza e verità.

La vera motivazione è che sono scese ombre su chi rappresenta l’Università e l’Università non può attendere se e quando tali ombre si dilegueranno. Sottolineo che non mi dimetto perché è accusato Loris Borghi, ma presento le dimissioni perché è accusato il Rettore dell’Università di Parma.  Non è questa mia una presa di posizione formale, condita da frasi di circostanza che spesso si leggono sui giornali. Questo è un atto sostanziale preso proprio nella convinzione di aver sempre agito solo per il bene dell’Università al di sopra di ogni interesse personale. E proprio per i sentimenti che nutro per l’Istituzione, non voglio che, in attesa dello svolgimento delle attività della Magistratura, si insinuino sentimenti di sfiducia, dubbio o peggio strumentalizzazioni di ogni genere nei confronti dell’Ateneo di Parma.

Spero che questo mio gesto lavi le maldicenze ed il fango che hanno colpito l’Ateneo di Parma, dall’esterno e talora anche dall’interno. Il dibattito intellettuale e la crescita di un’Istituzione pubblica non possono e non devono prescindere dalla fusione delle singole persone in comunità, “cervello espanso”, autoriflessivo e pensante.  Atti gravi e imperdonabili di singoli individui non devono trovare la comunità impreparata a enuclearli, estinguerli, annientarli. Nella mia vita non ho mai accettato passivamente ciò che accadeva alla comunità a cui appartenevo in quel momento. E non lo faccio ora. Percepisco una personalizzazione dello scontro e delle vicende con scopi che esulano dalla risoluzione di questo squallore, percepisco la paura e lo sconforto dei dipendenti dell’Università e dell’Ospedale, percepisco un’incipiente sfiducia dei cittadini nell’Università e nella sanità pubblica, colgo il disorientamento degli studenti. Credo che l’unico modo di superare questi drammatici frangenti sia contrastare e rifuggere il mondo delle comunicazioni “smart” e degli slogan, dei tweet e dei post; credo si debbano riscoprire la passione, lo studio, il rigore, il senso di appartenenza ed il dialogo civile.

Questo è il senso delle mie dimissioni: evitare che un attacco scomposto, viscerale e violento a me stesso, danneggi l’Istituzione che rappresento. Ogni generazione ha un dovere primario: quello di creare le migliori condizioni di lavoro e di sviluppo per i più giovani. In questo modo i giovani di oggi potranno vedere realizzati obiettivi che al momento possono apparire impossibili. Io ci ho provato con tutte le mie forze, con passione e duro lavoro. Ho tentato in questi anni da Rettore di contrastare fermamente l’impoverimento della vita, caratteristico del millennio, cercando di generare nell’Ateneo di Parma nuovi motori di entusiasmo, di senso di appartenenza, di cruciale responsabilità educativa, culturale e sociale. Ho cercato di guidare e non di subire le difficoltà che pure ci sono state. Non so se ci sono in parte riuscito; il cammino è iniziato da poco, ma di sicuro il seme del miglioramento è gettato e la crescita potrà proseguire anche senza di me.

Non vi è dubbio che nel fare ho commesso errori, ma una cosa è certa: io e l’Università in quanto Istituzione non abbiamo avuto nulla a che fare  con ciò che è emerso dall’inchiesta “PASIMAFI”, nella mia vita non ho mai rubato un euro, mi sono sempre comportato come un servitore dello Stato, ovunque sono arrivato ho cercato di migliorare le cose e di aiutare, in trasparenza e legittimità, le persone meritevoli, nella ferma convinzione che le persone sono il cardine e la vera forza di successo di una struttura pubblica o privata che sia. Non sta a me giudicare il bilancio tra le cose  buone fatte e gli errori.

Ringrazio di cuore chi ha lavorato con me in questi anni, condividendo il fine alto, l’amore per l’Università, per gli studenti e per la nostra città. Ringrazio anche coloro che con chiarezza, talora con accesa severità, ma senza subdoli retropensieri,  hanno portato opinioni diverse nell’àmbito di un fiero e nobile  confronto intellettuale indirizzato all’unico fine del bene del nostro Ateneo.

Ringrazio la Città e i benefattori dell’Università che in questi anni hanno permesso  la realizzazione e la programmazione di progetti importanti di sviluppo che, ne sono certo, saranno portati a termine anche senza di me.

Chiedo scusa a coloro che per lavoro e affetto mi hanno affiancato con delicata dedizione: ho interrotto il loro sogno di completare l’opera; certamente non lo meritavano, ma il superiore interesse dell’Università mi spinge a questo passo doloroso.

Lascio da uomo semplice e libero, come sempre sono stato, senza rancori né dietrologie, e auguro buon lavoro e maggior fortuna a chi mi seguirà.

                                                                       Loris Borghi

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