Il gruppo di Magnetismo molecolare del Dipartimento di Scienze Matematiche, Fisiche e Informatiche dell’Università di Parma, composto dai Prof. Giuseppe Amoretti, Paolo Santini e Stefano Carretta e dalla Dott.ssa Elena Garlatti, ha recentemente pubblicato sulla prestigiosa rivista “Nature Communications” un importante risultato che rivela sperimentalmente la presenza di entanglement quantistico, uno dei fenomeni “paradossali” predetti dalla teoria dei quanti e ingrediente chiave dell’informatica quantistica.

L’entanglement è uno dei fenomeni più affascinanti e misteriosi della meccanica quantistica e descrive correlazioni che non possono essere spiegate dalla fisica classica. Il termine entanglement si può tradurre letteralmente dall’inglese come “intreccio non separabile”. Se un sistema quantistico è infatti composto da due o più oggetti “intrecciati”, questi oggetti non possono essere descritti singolarmente e indipendentemente gli uni dagli altri, ma è necessario trattare il sistema come un tutt’uno. Conoscere, ovvero misurare, lo stato quantistico di uno degli oggetti del sistema entangled influenza dunque lo stato degli altri, con conseguenze anche paradossali, impossibili da descrivere con le leggi della fisica classica.

Questo fenomeno è importante non solo per lo studio dei fondamenti della meccanica quantistica, ma rappresenta anche una risorsa cruciale per l’informatica quantistica. L’entanglement è infatti uno dei punti di partenza per lo sviluppo di nuove tecnologie che sfruttano le peculiarità del mondo quantistico, in particolare nell’ambito della quantum computation e della crittografia. Misurare e quantificare sperimentalmente l’entanglement tra due o più qubit (contrazione di “quantum bit”, analogo quantistico del bit, l’unità d’informazione) è dunque una delle sfide più attuali in questo ambito di ricerca, che ha presentato finora diversi ostacoli e difficoltà.

I nanomagneti molecolari, molecole organo-metalliche che si comportano come nano-calamite, hanno già dimostrato di essere candidati promettenti per implementare algoritmi di computazione quantistica. L’anello antiferromagnetico Cr7Ni in particolare, che a basse temperature si comporta come un sistema a due livelli, è il qubit molecolare più studiato e più versatile. Grazie all’elevato grado di controllo della chimica di coordinazione, gli anelli antiferromagnetici possono infatti essere connessi magneticamente tra loro in modo da creare interazioni tra due (o più) qubit molecolari, rendendoli dunque sistemi modello ideali per lo studio dell’entanglement.

Nel lavoro realizzato, frutto della collaborazione con l’ISIS facility del Rutherford Appleton Laboratory di Oxford, l’Istituto Laue-Langevin (ILL) di Grenoble e la School of Chemistry dell’Università di Manchester, i ricercatori del gruppo di Magnetismo molecolare di Parma hanno utilizzato un dimero di anelli Cr7Ni come sistema di prova per dimostrare le potenzialità dello scattering anelastico di neutroni in 4 dimensioni (4D-INS) nello studio dell’entanglement tra qubit molecolari.

La ricchezza dei dati forniti da questo esperimento (intensità in funzione delle tre componenti del vettore momento trasferito Q e dell’energia), effettuato sullo spettrometro IN5 di ILL, ha permesso ai ricercatori di rivelare l’entanglement tra i due qubit. I risultati ottenuti con questa tecnica riflettono infatti le correlazioni dinamiche tra gli spin degli ioni magnetici del cluster molecolare e sono dunque in grado di fornire una sorta di ritratto dell’entanglement tra i due anelli. Il gruppo ha inoltre sviluppato un metodo per quantificare questo effetto direttamente dai dati sperimentali 4D-INS, verificando che il dimero (Cr7Ni)2 possiede autostati massimamente entangled.

La ricerca condotta e i suoi esiti aprono quindi nuove prospettive nello studio dell’entanglement tra sistemi di spin complessi grazie alla spettroscopia neutronica quadridimensionale, e dimostrano ancora una volta che i nanomagneti molecolari sono ottimi sistemi modello oltre che ottimi candidati per l’informatica quantistica.

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